IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA

MOSTRE

Manifesto 03

IMMAGINI – RACCONTO FOTOGRAFICO DELLA XX STAGIONE LIRICA 1984 DELLO SFERISTERIO

Luglio – Agosto 1985

Alfredo Tabocchini, maceratese, un personaggio da cui traspare evidente, per la semplicità dei modi, per la disponibilità disinteressata, l’artista senza introversioni l’artista inalienato dalle tecnologie e dal perfezionismo.

Così come quindici anni fa bloccava in istantanee poetiche i momenti magici della vita che gli correva indolore così ora con la stessa lucida “TRANCE” e raffinato ardore tecnico fissa le sue immagini come il grande HENRI CARTIER-BRESSON gli ha ispirato.

L’esperienza, la routine, i mezzi tecnici illimitati non hanno per nulla inciso i sentimenti che ispirano una viva performance fotografica, né il tempo mai può cambiare l’artista che produce arte sincera.

La lettura attenta di una sua immagine, di una sua creazione i fa vivere un momento poetico, a volte crudo, a volte aspro… romantico inevitabilmente sempre.

 

 

 

 

Mostra ok 03

IMMAGINI

Dicembre 2003 – Gennaio 2004

Tra le varie possibilità che i maestri riconosciuti hanno dimostrato per la fotografia sin dal suo nascere, c’è la capacità del mezzo di rapportarsi al reale, quello apparente e, in senso interpretativo ed artistico, quello recondito, dagli innumerevoli significati e prospettive e di “fermarlo” in modo inequivocabile. Finalmente la realtà trovava un testimone che, partendo dalle particolarità visibili, ne documentava l’hic et nunc.

Alfredo Tabocchini, sin dalla prima conoscenza, colse l’importanza di ciò e, considerando la fotografia un’incredibile opportunità per sé, la scelse come medium per fissare ed esprimere ricordi ed emozioni, consapevole tuttavia che non esiste una sola realtà, ma a latere e dietro le apparenze, una realtà di senso, una realtà di sentimento, una realtà di pensiero. Non da “addetto”, ma da semplice “amatore”, con tutto il romanticismo e la passione di chi ama, cominciò a praticarla con evidente coscienza artistica, come “autore”. Tale fu, in sintesi, l’incipit, il suo viatico di fotografo-artista. Nell’attività susseguente ha preferito trasfondere gli entusiasmi e la creatività, in un certo senso la fresca “innocenza” dei soggetti, considerati sempre con profonda umanità e simpatia. Ma rifuggendo al tempo stesso quelli che riteneva essere i limiti abituali della fotografia amatoriale, come l’eccessivo tecnicismo, un espressionismo di maniera, spesso mutuato da maestri e declinato con propensione estetizzante.

Il credo artistico di Tabocchini si è così orientato verso una sostanziale semplicità, un verismo “al naturale”, spontaneo, non costruito, legato a una realtà che, se ben interpretata è in grado di trasmettere la propria verità all’immagine. Anche tecnicamente egli ha perseguito una strategia “poverista”, giudicandola più idonea ad esprimere quell’idea di “verità” che ha sempre ritenuto essere il primo presupposto della fotografia. Convinto sempre più di ciò, riprendere le sue immagini “a luce-ambiente”, prediligendo il bianco e nero, ma non rifiutando il colore “quando serve”.

Ma le motivazioni poetiche e di senso sono sempre state prioritarie nella sua ricerca. La realtà che preferibilmente indaga è quella conosciuta, o ritenuta tale: l’ambiente dove vive, gli amici (sono stati il suo primo “campione” di indagine), i personaggi caratteristici, le situazioni; tutto costituisce racconto, nel convincimento che la novità e la scoperta sono possibili ovunque, anche in uno spazio “domestico” come può essere la propria città. L’importante è cogliere l’attimo significante: è quella la vera condizione di originalità. E’ la relazione di Henri Cartier-Bresson, il solo che Tabocchini, pur con rispettosa modestia, sente di dover indicare come suo “maestro”.

Anche le foto di Tabocchini sono tranche de vie; tasselli di una realtà che trova verità in se stessa, sempre osservata con simpatia: a volte con arguzia, altre volte con umanità grave e partecipe. Un voyeurismo virtuoso, il suo, incentrato soprattutto sulle persone (sono esse a costituire l’ambiente) ed esercitato in una condizione di clandestinità. Questo atteggiamento di Tabocchini, di volersi quasi occultare dietro l’obiettivo, oltre a corrispondere al suo carattere di marchigiano introverso e schivo ma pensante, è un’esigenza che deriva dal convincimento che lo sguardo del fotografo, se non vuole invadere e condizionare la realtà, dev’essere necessariamente clandestino (è sempre la lezione di Bresson che affiora), esso tuttavia non sminuisce un’alleanza di fondo col soggetto, trovando proprio nella foto conclusa la migliore e più efficace attestazione di “solidarietà” e “presenza”.

L’impressione prevalente, guardando anche le foto di questa mostra che segna il trentennale della sua attività di fotografo e che egli dedica “a Liana”, e che domini su tutto una fondamentale onestà, il perseguimento di una verità che corrisponda a un credo profondo dell’autore e a un’indole collegata al luogo. Lo spettatore maceratese troverà in queste immagini un po’ della propria storia e potrà riconoscersi, sia nel carattere che nelle sembianze della realtà documentata.

Si può constatare in conclusione che l’evoluto professionismo di Tabocchini non ha impedito, nella ricerca, il mantenimento di un’anima amatoriale, ed è forse quell’anima che, resistendo, ha caratterizzato e continua a caratterizzarne la produzione anche quando legata a necessità professionali.

Lucio Del Gobbo